PROLOGO: Lykopolis,
Distretto Extraterritoriale dello Zilnawa, Deserto del Sahara
Il grande aereo passeggeri,
volo Zilnawa Airlines 717, si diresse verso la pista realizzata presso il
settore nord-est del cerchio perfetto che era la città eretta nel deserto,
tagliata in due dall’arteria azzurra del fiume. Gli alberi si mescolavano ai
palazzi come se fossero, entrambi stati parte gli uni degli altri. Non un filo
di fumo s’innalzava dalla metropoli patria dei licantropi.
Era bellissima, e i passeggeri
si lasciarono andare a commenti sempre più ammirati mano a mano che si
avvicinavano alla pista.
Il volo ZAL-717 Roma-Lykopolis
atterrò alle ore 17:00 esatte. Si fermò in mezzo ad un’area contrassegnata da
quattro ampi quadrati rossi.
Uno dei passeggeri, un giovane
diciottenne dai lunghi capelli neri, maglietta pure nera come i jeans, il cui
posto stava accanto ad una delle quattro uscite, nell’ascoltare il messaggio
del Capitano, che invitava i passeggeri a raccogliere i propri bagagli e
prepararsi a sbarcare, si chiese che razza di cicchetto si fosse fatto.
Insomma, a parte saltare di sotto non sembrava esserci altro modo per—
“Uau!” gli scappò, quando vide
che i ‘quadrati’ altro non erano che i tetti di enormi ascensori! Le colonne di
metallo emersero fino ad arrivare all’altezza delle uscite. A quel punto si
fermarono. Un condotto si estese dagli ascensori fino ai portelli, che subito
dopo si aprirono.
Il ragazzo prese la scatola
che conteneva il suo bagaglio ridotto letteralmente ad un giocattolo grazie
alle Particelle Pym. Fu il primo ad
addentrarsi verso la sua cabina. Quando questa fu riempita, iniziò a scendere senza neanche uno scossone.
La finestra panoramica mostrava uno scorcio della città. Ancor più da lì,
sembrava che la natura avesse deciso di fabbricarli, quegli edifici.
La cabina scese sotto il
suolo, e tutti poterono ammirare il vespaio di attività che era il cuore del
terminal sotterraneo.
La cabina 2 si fermò
all’altezza di un livello sopraelevato il cui pavimento era fatto interamente
di una specie di spesso cristallo così trasparente che sembrava di camminare
sull’aria. C’era di che restare impressionati, ma le meraviglie del terminal
rubavano l’attenzione molto in fretta. Infatti, anche il giovane romano si mise
subito a guardare il trionfo di vetrine e servizi offerti. Quel posto era a
tutti gli effetti una città sotterranea.
E c’erano loro. I licantropi. Erano ovunque, di ogni colore e razza, bipedi e
quadrupedi, a coppie e in branchi. Erano loro le star, e i passeggeri non
delusero le aspettative. I flash partirono a raffica, i commenti si sprecavano.
Una delle creature salutò, sorridendo con una dentatura impressionante...
“Bonvenon al Lykopolis,
Sinjoro Doria,” disse una voce femminile. Lui non ci fece caso, lì per lì...poi
realizzò.
Una lupa mannara gli si era avvicinata. Pelliccia rossa,
visibilmente femminile, non indossava molto se non una specie di abito tribale
e gioielli. In qualche modo, gli sembrava così più nuda che se non fosse
stata...be’, al naturale. Romeo
Doria-Pamphili arrossì leggermente. “Uh, piacere di conoscerla,
signorina..?” poi vide che era accompagnata da un maschio grigio/azzurro e
bianco vestito solo di un paio di pantaloni blu con cintura a fascia gialla. In
lui, Romeo riconobbe subito colui che lo aveva salvato la settimana scorsa[i]:
Jon Talbain. Si avvicinò subito alla
coppia, felice di vedere unvolto…muso…quello che era, comunque familiare. Si
avvicinò a stringere la zampa della creatura (un simile, maledizione! E’ un tuo simile!). “Sono felicissimo di
veder… Qualcosa che non va?”
Jon lo stava fissando
severamente, agitando le orecchie e la punta della coda. A buona misura, si
schiarì la gola. Romeo non colse il messaggio e si sentiva decisamente come un
bifolco di fronte ai misteriosi costumi di un nobile…
“Non è ancora abituato a
leggere il corpo, marito,” intervenne con dolcezza la femmina. Solo a quel
punto Romeo si accorse della pancia leggermente gonfia. Ookay, era incinta,
avrebbe voluto chiedere, e allora?
Lei tese la mano. “Rahne Sinclair, Wolfsbane. E’ buona
educazione rendere omaggio per prima cosa alla femmina gravida, Romeo. Ma a
volte Jon dimentica che non tutti i nostri simili danno per scontate la nostra
etichetta.”
“Oh! Io…scusami, alfa.” Prima
di partire,
Evvai così, bel modo di
iniziare la carriera di Vendicatore del Popolo Lupo!
MARVELIT presenta
POWER PACK
Episodio 29 – Arrivo
“In che lingua mi avevi
salutato, prima?”
“Esperanto,” rispose Rahne.
“La lingua ufficiale, o almeno lo diventerà una volta che tutti l’avranno
imparata.”
Per essere una specie che
sotto alcuni aspetti era molto più sociale di quella umana, c’erano sfumature
di etichetta degne della classe nobiliare del medioevo, fra i mannari.
Ad esempio, se una coppia alfa
prendeva una decisione, non si contestava a meno che questa non comportasse un
rischio per il branco, con l’eccezione del rischio vincolato alla salvezza dei
giovani, il vero tesoro dei gaiani.
Per questo stavano andando a
piedi, invece di prendere un’auto come logica voleva. Gli avevano chiesto di
trasformarsi e lui lo aveva fatto.
Le poche auto si muovevano con
un lieve ronzio lungo le strade. Romeo sapeva che quella metropoli, concepita
per due milioni di individui, ne ospitava 10.521 fra mannari e umani. Per ora,
Lykopolis era una neonata città-fantasma. Era come muoversi nel mezzo del set
di un film post-apocalittico, dopo una mostruosa epidemia... “Pensate veramente
di raggiungere la piena capienza?”
“Ci vorrà tempo, ma con
l’aiuto di Gaia ce la faremo. Almeno, lo spazio non manca. Anche quando
opereremo a pieno regime, ci sarà spazio sufficiente per tutti. Non vogliamo
trattare il nostro spazio come un formicaio.”
Per ora, Romeo non intendeva
darsi ad un dibattito su demografia ed architettura. Si limitò ad annuire a
monosillabi e a lanciare lunghe occhiate alle figure che intravedeva per
strada. “Il servizio della WNN vi…ci
faceva sembrare più numerosi.”
Diecimila licantropi. Tanti,
per una specie considerata solo una leggenda.
Niente, rispetto all’umanità.
Gli era stato detto che se avesse avuto dei figli gli sarebbero stati riconosciuti
dei crediti sociali. Ora capiva appieno perché, anche se avrebbe deciso lui e
lui soltanto se ricostruirsi una vita sentimentale dopo il tradimento della
ragazza a cui voleva bene…
“Siamo tutti concentrati
nell’area centrale,” rispose Jon. “Lo spazio è ancora sufficiente, e soddisfa
la nostra voglia di stare insieme, e possiamo esserci di aiuto l’un l’altro.”
“E si può vegliare più
efficacemente sulla loro sicurezza.”
“Esatto,” rispose Rahne,
improvvisamente più cupa. “Anche se è stato Thran a darci Lykopolis, è stata mia l’idea di radunare una volta per
tutte il Popolo, dare a noi una vera patria in cui ricominciare come specie.
Anche per questo ho chiesto ed ottenuto che i nostri ranghi venissero
potenziati. Con te, siamo ventiquattro, anche se non escludo altri
reclutamenti.”
“Uh-uh.” Romeo pensava che
avrebbe dovuto meritare una laurea solo per stare dietro all’anagrafica di
tutti quei superlupi. Aveva studiato ogni loro dossier (e Rahne non l’aveva
riconosciuta lo stesso, di nuovo un punto per il campionissimo!!) “Perché
stiamo andando a piedi?” Gli scappò (Non c’è due senza tre, giusto?)
“Considerala una parte del tuo
allenamento,” rispose Jon. “Come guerriero del Power Pack, non puoi permetterti
il lusso di rammollirti. Se non sei capace di percorrere qualche chilometro a
piedi, sei inutile.”
Uau, molto meno gentile
dell’angelo custode che lo aveva salvato da morte certa…
“Dovrebbero esserci modi più
gentili di spiegarlo, amore mio,” fece Wolfsbane con finta severità. Poi, a
Romeo, “Perdonalo, ma la tensione per la mia gravidanza lo rende un
po’…brusco.”
“Non è vero.”
“Sì che lo è. Guardati, hai
del pelo dritto.”
Jon bofonchiò qualcosa. Rahne
tornò a rivolgersi a Romeo. “Se
Lui fece spallucce. “Be’,
nessun problema da parte mia. Tuttavia, sono stato me stesso come umano per
tutta la vita.”
“E’ un problema comune a tutti
i nuovi arrivati.” Gli accarezzò il collo folto. “Ti abituerai presto.”
“Ci sono tante cose a cui
abituarmi, si direbbe. E’ tutto così…incredibile, qui! L’unica cosa che mi
sfugge è come mai vogliate un principiante come me nel vostro gru—branco.
Insomma, voi siete tutti pezzi da novanta, E io?”
“Tu sei un diretto discendente
di Acca Larenzia.”
Romeo si fermò dov’era. Non
c’era bisogno di essere la migliore guida di Roma per riconoscere il nome del
cuore della sua mitologia “Quella..?”
Sapeva di avere la mascella un po’ a terra, ma della dignità gliene fregava
assai ora come ora.
Jon annuì. “Sei l’ultimo
discendente di una grande stirpe. Larenzia,
“San Galgano.”
“La lupa mantenne l’antico
patto, generando a sua volta una stirpe per proteggere i discendenti di Remo, e
così fu fino a quando, nel 1350, la peste
nera non reclamò la vita delle due famiglie. I due superstiti, una donna e un
maschio, divennero una famiglia e misero al mondo una prole, ultimo lascito
della gloria dei Galgano. Ma di tale discendenza si persero le tracce, così
come della vera spada di Galgano, che si dice possa fendere la terra e il
cielo.”
“Un’altra cosa che non sai è
che Remo non abbandonò del tutto il fratello. Chiese alla Lupa di concedergli
che uno dei suoi figli vegliasse su Romolo ed i suoi discendenti, ed ella,
contenta che alla fine il perdono avesse prevalso sul rancore, così fece ed
inviò un suo cucciolo a Roma perché fosse allevato come guerriero e custode.
Per lui, il fabbro di Ares forgiò uno scudo invincibile, simbolo della
protezione che mai sarebbe caduta. Uno scudo che solo i discendenti di sangue
della Capitolina potevano anche solo reggere fra le mani. Tu sei il discendente
di quel protettore e di coloro che lo seguirono. Che ci fai ancora lì
imbambolato?”
“Credo che tu lo abbia
sovraccaricato, caro,” fece Wolfsbane. “Romeo? Tutto bene?”
“La-la-la-la...”
“Curiosa canzone,” fece Jon
con un mezzo sorrisetto.
“Mi state prendendo in giro.
Vero?” Lui, un signor nessuno che ora non era più manco tanto speciale, era il
discendente di..? Il concetto faticava a entrargli nella mente. Come se
all’Uomo Ragno avessero detto che discendeva da Superman! “Non è possibile,
proprio no. Insomma, nahh...” ridacchiò. “Dai, va bene che volete farmi sentire
a mio agio, ma questa poi..!”
“Non sta mentendo, Romeo
Doria-Pamphili,” disse una nuova voce, solenne come quella di un dio. Romeo
voltò lo sguardo e vide quattro licantropi, apparsi dal nulla. Indossavano
abiti di una foggia incredibilmente antica, roba che ricordava quelle immagini
sumere al museo...
Uno era dal manto bianco come
la neve, il secondo grigio, il terzo del color del sangue, la quarta, forse una
femmina, a giudicare dalla sua silhouette nera come la notte più assoluta. E
tutti erano enormi, avevano delle zanne paurose, come se fossero stati i più
selvaggi della specie.
Alla loro sola presenza, gli
istinti di Romeo erano come andati in overdrive. Non sapeva perché, ma
desiderava solo con tutto il suo cuore assumere una posizione deferente, e lo
fece, cadendo all’istante su un ginocchio, la testa bassa. Sentiva che sarebbe
stato un insulto terribile solo guardarli negli occhi.
“Guardaci, giovane guerriero,”
disse il bianco. Lui lo fece. Il cuore gli andava a tremila. Non aveva paura,
era emozionato. Aveva provato
qualcosa di simile, ma meno intensa (il Signore lo perdoni!) quando era
riuscito a farsi salutare da Papa Woytila. Emozionato e reverente.
“Noi siamo il Consiglio del Popolo, e siamo noi i
testimoni della vita e della storia della stirpe tua e di Galgano.”
“P-perché proprio ora?”
“Una combinazione di eventi
come non capitava da troppo tempo,” rispose la femmina rossa. “Il nostro antico
nemico, il malvagio dio-serpente Set,
sta preparando attraverso i suoi accoliti il proprio ritorno su questo piano
dimensionale, e il Popolo sta radunando il suo numero e le sue forze per
prepararsi all’ultima battaglia.”
“La sua presenza ha
risvegliato il tuo vero potere,” continuò il grigio. “Per questo solo ora
abbiamo bisogno anche di te come guerriero per il nostro futuro.”
“Hai davanti a te una strada
lunga, difficile, di gloria e dolore,” concluse la nera. “Ma ora non è il
momento di tirarsi indietro. Anche senza l’appoggio del sangue di Galgano,
diventerai un valente combattente. Per questo abbiamo chiesto che entrassi
nella nostra elite.”
“Perdonaci per questa
intrusione,” riprese il bianco. “So che vorresti che le cose procedessero più
lentamente, ma il tempo è sempre più ridotto. Fidati di noi, confida in te.
Sappi che è un onore rivedere fra noi un figlio di Larenzia.” Poi, in un velo
di fumo verde, scomparvero senza un solo suono.
Romeo si rimise in piedi. Vide
che Jon teneva su di lui un bel paio di occhi sbarrati. “Ti rendi conto di
quello che è successo, vero, piccolo?”
Romeo, che era ancora
frastornato, quasi manco si accorse che gli aveva parlato. “Uh?”
“Non credo di avere mai visto
l’Anziano del Consiglio comportarsi e parlare così con nessuno. Quelli possono guardare gli dèi negli occhi, e per poco con te non ha chinato il capo. Sapevo
che eri importante, ma fino a questo punto...” Adesso nel suo sguardo c’era un
genuino rispetto. Poi, rise!
“Che c’è di divertente?”
“Oh, se ti aspetta una gavetta
dura, piccolo!” Gli mollò una pacca
da mezza tonnellata sulla spalla. Per poco Romeo non cadde in terra. “Credimi,
imparerai che qui ‘meritrocrazia’ ha un significato tutto suo!”
Rahne si rimise in cammino,
subito seguita dallo scodinzolante marito. “Troppe emozioni in un giorno, e
deve ancora incontrare gli altri. Su, lascialo in pace. Vieni, Romeo... O posso
chiamarti anche Comisdirus? E’ un bel
nome, quello che ti sei scelto: il gentilferoce.”
“Be’, a dire il vero mi è
venuto in mente dopo avere scoperto che c’era un altro Warwolf. E poi, penso
che questo...rifletta la mia natura. So che quando mi ci metto posso essere
tosto, ma non sono normalmente un tipo aggressivo. Spero che questo non mi
faccia precipitare fra gli omega o roba del genere. Non mi va di essere montato
da mezzo branco per questioni gerarchiche.”
Jon sfoggiò un sorriso di
zanne. “Non è più considerata una pratica ‘civilizzata’, e la adoperano solo i
membri di tribù vissute allo stato brado. Stai tranquillo, ci sono altri
criteri per valutare il rango. Ma non hai studiato nulla di quello che ti ha
dato
“Ripasserò, lo giuro! Parola
di lupetto!”
Jon fece spallucce. Dirus (se
doveva abbreviarsi il nome, preferiva usarne la seconda parte, era più fico!)
chiese a Rahne, “Sei cattolica?” e si toccò all’altezza della gola, dove lei
mostrava la sua croce.
“Presbiteriana. C’è un’altra
femmina, nel branco, che però è cattolica. Lei era stata allevata dalle suore,
e cercarono di ucciderla quando manifestò la sua natura. Anche mio padre provò
a fare lo stesso.” Un velo di tristezza scese sul suo volto, e si accarezzò la
pancia. “Io voglio essere orgogliosa dei miei figli, mai leverò la mano su di
loro.”
Lui stava per dire che i
nonni, con i quali aveva vissuto per una vita e che erano per lui come genitori
a tutti gli effetti, gli avevano dato la loro benedizione. Pensò che era meglio
non vantarsene. “Te l’ho chiesto, ah, perché sono cattolico. ‘Somma, vado
ancora a messa
“Ci sono chiese e templi per
diverse confessioni, ma come cristiani non brulichiamo certo di proseliti. E’
difficile mantenere la fede quando si pensa da una vita di essere marchiati dal
demonio. Tanti sono ancora confusi, gli anziani cercano di aiutarli, ma pochi
di loro sono stati parte di un gregge. Si fa quel che si può, ma il
proselitismo, pur non essendo ostracizzato, non è neanche incoraggiato. Ma, e
Dio mi perdoni,” si fece il segno, “Se ognuno di noi sa in cuor suo di credere
in Lui, andare in chiesa non diventa la cosa più importante. Siamo in contatto,
in questa grande città, e quando ne sentiamo il bisogno, ci raduniamo.”
“Non ci sono…attriti fra le
confessioni, o…”
“No. In qualche modo, vivere
qui, tutti insieme, così pochi di noi, ci fa capire che la fede non può essere
usata come scusa per degli scontri. Che un lupo versi il sangue del suo simile
è condannato con la stessa severità con cui il Signore punì Caino per avere
levato la mano su Abele. Essere banditi da questa
società è una condanna molto grave, solo un folle potrebbe desiderare di abbandonare
quello che ha appena cercato da una vita.
“E poi, lo stretto rapporto di
gruppo che vige fra i branchi ribalta molti preconcetti di una fede. Le femmine
gravide sono tesori intoccabili, di fatto guidano il branco, e questo per un
mussulmano sarebbe impensabile, ma o si adatta o viene bandito. I matrimoni non
possono essere combinati o delegati. I minorenni sono protetti con una ferocia
inimmaginabile, violarli significa una morte atroce. Il nostro bisogno di
proteine animali ricche è fisiologico, non opzionale. Molti tabù alimentari
devono cedere il posto. L’omosessualità è accettata soprattutto se vengono
adottati dei piccoli, e in nome dei figli il rapporto intersepecie è
altrettanto ben visto…” Rahne sospirò. “I primi mesi qui sono stati una prova
molto, molto dura per tutto quello in cui io e Bethany crediamo. E alla fine,
ho capito che Dio ha diversi modi di esprimersi. Alla fine, anche se Gaia è stata
un’intermediaria, è stato Lui a volere la nostra esistenza. Forse le nostre
regole non sono derivate dalla Bibbia, ma aspiriamo alla pace come ogni altra
specie dotata di un’anima immortale. Scoprirai, Romeo, che la vita qui non è
una serie di prove per la fede, ma una prova che la nostra fede è ben riposta.
Lavorare per la pace con gli uomini, quello è il vero test, e io mi impegnerò
perché ciò accada…rispettando quanto rimane dei miei insegnamenti.”
“Tu aspiri al papato, per
caso?”
Il resto del cammino proseguì
fra chiacchiere intervallate da momenti di silenzio imbarazzato, mano a mano
che Comisdirus imparava sempre più su usi e costumi della sua nuova casa, ma
nel complesso era felice come un bambino in un negozio di caramelle.
Ormai camminavano nel cuore
della città. E i mannari per le strade erano presenti ad ogni angolo. Gli
esseri umani erano solo quelli accompagnati che fosse in intimità o a
scambiarsi quattro chiacchiere. Ed erano così piccoli in quella massa di pellicce... Eppure nessuno di loro
sembrava minimamente intimidito. Erano contenti come lo era lui. Ogni tanto un
gruppo scambiava saluti con un altro in uno schema apparentemente casuale. I
soli ringhi venivano dai cuccioli intenti a giocare. Romeo era andato un
weekend a Napoli, una volta, e aveva respirato una simile aria di gioia
spontanea, solare. Gli veniva voglia di unirsi ad un gruppo a caso.
“Fa quest’effetto,” disse
Rahne, riportandolo di colpo con i piedi per terra. “Stai tranquillo, qui è
maleducazione non socializzare. Non ci
sono lupi solitari a Lykopolis.”
“Capisco. Siamo, uh,
arrivati?”
“Sì,” rispose Talbain. “Questa
è la nostra e tua tana.”
L’edificio, come gli altri,
era una massiccia costruzione di granito e cristallo, coperto da rampicanti in
modo da esaltarne le linee e il concetto di fusione con la natura circostante.
Si ergeva per sette piani, e aveva tutta l’aria di potere reggere al
cannoneggiamento di una corazzata. Il portone di ingresso era a due ante, su
ognuna delle quali stava un lupo quadrupede rampante, un maschio a sinistra e
la femmina a destra, a fronteggiarsi e reggere fra le zampe tese una stella a
otto punte.
Il portone si aprì con un
rumore di pietra contro pietra, lasciando giusto lo spazio per fare passare il
terzetto.
Si incamminarono lungo una rampa
di scale degna di un re, dai gradini bassi e numerosi, di marmo bianco con una
venatura dorata. “Gli alloggi sono al primo piano,” disse Jon. “Al secondo la
mensa. Il terzo piano è per l’infermeria, il quarto la palestra. Al quinto le
saune e i bagni di polvere, il sesto è la biblioteca multimediale. Il settimo
la piscina, solarium e osservatorio.”
“Quello che avevo notato prima
era un ascensore, vero?”
“Stanco?” Jon lo chiese con
quel sorrisetto sfottorio che mandò subito in ebollizione il sangue di Romeo.
“No. Alfa. E’ solo umido.
Magari in cabina c’era il condizionatore.”
“Considera quest’umidità un
miracolo, visto che viviamo nel mezzo del più implacabile deserto al mondo.”
“Touchè. Ci sarà il
condizionamento, negli alloggi?”
“Molto moderato. Ma non ti
preoccupare, ti abituerai—“
“In fretta, lo so. Credo che
sentirò spesso questa frase, vero?”
“Sì.” Fu la risposta di
entrambi.
‘Alloggi’ era una parola forse
un po’...riduttiva.
Era un loft, un unico ambiente
sviluppato lungo tutto il piano. Sembrava di osservare una piazza d’armi
arredata di tutto punto. Le ampie finestre polarizzate permettevano
un’illuminazione perfetta. I primi due sensi di Romeo ad essere assaliti furono
nell’ordine, l’olfatto, investito da un aroma fresco come di vegetazione del bosco,
e il secondo la vista.
Un conto era studiare i
fascicoli, le foto, gli ologrammi... Ben altro era trovarsi di fronte ad una
simile selezione di mannari tutti radunati sotto lo stesso tetto! “Signore...”
Lo guardavano come se fosse
stato una specie di esemplare raro. Stavano aspettando che lui dicesse loro
qualcosa? “Ah, buongiorno, gente? Amici? Fratelli?”
Si fece avanti un maschio dal
pelo grigio/rosso. Indossava un’armatura argentea, che sembrava disegnata sui
suoi muscoli, con le spalline ampie, e due paia di lame sui polsi e le
caviglie. Due ampie else spuntavano da dietro la schiena. Tese la mano, e lo
sapeva Romeo di quanto avesse bisogno di un gesto familiare. “Benvenuto,
Comisdirus. Io sono Greysire. Sono
l’alfa della tua squadra.”
“Squadra...ah, gamma, giusto?”
L’altro annuì. “E’ un onore,
figlio di Larenzia.”
“Per favore, devo ancora
abituarmi!” E già pensava alla lettera che avrebbe scritto ai nonni, questo sì
che li avrebbe stesi!
Sei lupi si fecero avanti.
Greysire li presentò, partendo da:
·
Un maschio
argenteo e grigio vestito come uno sciamano indiano. Karshe, della tribù dei Cheemuzwa.
·
Una femmina
rossiccia come Rahne. Bethany Rose
McCarthy, Pleias.
·
Un maschio nudo,
anche lui dal pelo rossiccio, e l’aria torva. Doveva essere uno che ne aveva
passate... Carlos Lobo, Espectro.
·
Un gigante
persino per gli standard della specie, dal pelo bianco ispido, che luccicava
come fosse stato fatto di tanti cristalli, come in effetti era per Hoarfen, figlio di Fenris e dei giganti dei
ghiacci.
·
Il secondo titano,
anche se questi era una massa di muscoli che gli ricordava tanto il Fenomeno, corporatura ulteriormente
evidenziata dal lungo pelo bianco e le lame ossee che decoravano il cranio e
gli arti all’altezza delle articolazioni. Si chiamava Kodi, Behemoth.
·
L’ultimo era un
maschio pure rossiccio. Indossava un tanktop bianco con su la scritta in
caratteri graffiati ‘BAD DOG!’ e un paio di shorts neri che lasciavano poco
all’immaginazione. Myles Alfred,
Vivisector.
“Loro sono i membri della
squadra gamma, e tuoi compagni,” disse Greysire.
“Credevo non ci sarebbero
stati problemi di...scambio, per così dire. Siamo una grande famiglia, giusto?”
Si fece avanti Sir Wulf, della Squadra Beta. “Sebbene sia così, e
sebbene sia possibile uno scambio di membri, si preferisce favorire l’affinità
fra coloro che operano in un singolo branco, perché combattano affiatati, al
meglio.”
“Giusto. Be’, ora che si fa?”
“C’è una persona che ti
vogliamo fare conoscere,” disse Wulf. “Aspettavamo te, per presentartela.
Prima, però, vorrei che indossassi questa.” Karnivor avanzò, reggendo fra le
braccia una specie di costume di un sottile tessuto argenteo dai riflessi
metallici.
“Che è?” Per Romeo, quella
roba aveva tutta l’aria di poter essere stracciata con un’occhiataccia.
“La tua protezione,” rispose
Greysire. “Indossala.”
Lui lo fece. Scese lungo il
corpo in un rapido movimento, come un liquido...e un attimo dopo si trasformò
in solido metallo! Torace e bacino furono protetti da uno strato più spesso,
liscio. Sul petto spiccava ora il disegno di una testa di lupo stilizzata
contornata da un cerchio. Braccia e gambe erano protette da scaglie metalliche
quadrate su metallo che, come per Greysire, seguiva i contorni della carne come
una seconda pelle. In pochi istanti, anche la pelliccia stessa di Dirus fu
avvolta, pelo per pelo, da uno strato argenteo. Il giovane mannaro italiano
osservò il proprio riflesso nella finestra. A stento si riconosceva “Uau!”
“Nanotecnologia,” disse
Karnivor. “In attesa che maturi completamente le tue potenzialità, ti tornerà
utile. E’ praticamente a prova di proiettile e converte gran parte dell’energia
cinetica in energia che puoi usare per potenziare i tuoi attacchi. Una mia
invenzione.”
“Fa anche il caffè?”
I licantropi, divisi nei tre
branchi, si diressero verso l’uscita. Ora un’aria tetra avvolgeva l’atmosfera.
Dirus pensò bene di non chiedere un’acca.
Questa volta, presero
l’ascensore. Scesero fino al primo dei tre livelli sotterranei indicati sulla
pulsantiera.
Quando si aprirono le porte,
si trovarono a fronteggiare un lungo corridoio bene illuminato come da...fuochi
fatui, globi azzurrini sospesi nell’aria –a proposito della quale, era come
carica di elettricità statica. Romeo si sentiva...strano.
Camminando per il corridoio,
ad ogni passo delle serie di rune apparivano dal nulla, sul pavimento, lungo le
pareti e intorno ai loro corpi. Romeo poté giurare di sentire odore di ozono.
“Lo è,” gli disse Karshe.
“Abbiamo usato la nostra magia più potente per fare di questo condotto un unico
sigillo, per impedirle la fuga.”
“Impedirle...chi?” chiese
Romeo, sottovoce.
Arrivarono in quel momento
all’unica porta in fondo al corridoio.
*!*
Se qualcuno gli avesse chiesto
in seguito cosa avesse provato in quell’esatto momento, avrebbe risposto di essere
stato folgorato. Provò all’improvviso una sensazione spaventosa, il mondo divenne
per un microsecondo un posto oscuro, e il male
attraversò i suoi pensieri come una folgore. Iniziò senza accorgersene a
contrarre i pugni, ed emise un ringhio orrendo come mai aveva fatto. Un
microsecondo in cui tutto il suo essere si focalizzò sul desiderio di mettere
zanne e artigli addosso all’origine di quella sensazione e farla a pezzi. Una
pura e semplice risposta atavica ad una minaccia alla sua vita.
“Questa,” disse Jon, “E’ la
prigione dei nostri nemici, quelli più spietati, quelli più antichi, dei quali
hai appena percepito la natura. Preparati, perché dovrai combattere contro il
tuo naturale desiderio di ucciderla.
“Perché colei che sta dietro a
questa porta, deve essere aiutata.”
La porta, cinquanta centimetri
di adamantio secondario rinforzato da sigilli mistici, si aprì scorrendo con un
suono cupo.
Romeo entrò per primo.
La prigioniera era una donna.
Nuda, dalla carnagione esangue esaltata dai corti capelli neri, e gli occhi
dalle pupille scarlatte come il sangue. Il suo era lo sguardo più malevolo che Comisdirus avesse mai
visto. Non erano gli occhi di una folle, no. C’era una spaventosa lucidità in
essi, una bramosia di infliggere crudeltà innominabili ai suoi carcerieri.
Jon Talbain aveva ragione:
quella donna, chiusa in una bara di cristallo, era il nemico. E Romeo ne ebbe paura.
“Lei è Faidara,” disse Karnivor, “una dei Generali delle Nove Armate di Set. Ed è nostro compito aiutarla.”
La donna rise, e l’eco di
quella risata fece tremare il giovane Romeo fin nelle ossa.